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Il 4 giugno, a Villa Brandolini a Pieve di Soligo (TV), inaugura l’undicesima edizione del Festival F4 / Un’idea di fotografia con la direzione artistica di Carlo Sala. La mostra che apre la manifestazione è Fosfeni, una riflessione del rapporto tra fotografia e paesaggio, declinato attraverso una pluralità di visione contemporanee che spaziano dalla narrazione documentaria alle ricerche sperimentali. Il titolo della mostra richiama quello dell’omonima raccolta di versi di uno dei più importanti poeti del Novecento, Andrea Zanzotto, cantore ed esegeta del paesaggio contemporaneo con la sua opera poetica e intellettuale. Il fosfene, quel fenomeno visivo caratterizzato dalla percezione di puntini luminosi nella pupilla dell’occhio, diviene per gli autori coinvolti la metafora di una visione che non si limita a guardare l’esistente, ma cerca delle percezioni ‘altre’ nei confronti del reale fino a travalicarlo.

La mostra parte simbolicamente con un importante corpus di opere di Luigi Ghirri, uno dei maggiori fotografi europei del Novecento, promotore di celebri mostre come Viaggio in Italia, che hanno profondamente cambiato il modo stesso di concepire la relazione tra fotografia e paesaggio; grazie al fotografo emiliano infatti, si è rivolto lo sguardo sul paesaggio quotidiano e si sono avviate tutta una serie di riflessioni sulla percezione di questo. In mostra spiccano alcune immagini come Pisa e Padova della celebre serie Paesaggio italiano che l’autore definiva: “Una cartografia imprecisa, senza punti cardinali, che riguarda più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o descrizione, come una geografia sentimentale dove gli itinerari non sono segnati e precisi, ma ubbidiscono agli strani grovigli del vedere”. Di grande interesse anche gli scatti tratti da Ciclo pittorico di Piazza Betlemme dove sono fotografati dei murales di gusto vernacolare che portano la riflessione su un piano metafotografico.

L’esposizione prosegue con opere di importanti autori della scena italiana come Mario Cresci e Paola De Pietri. Il primo, autore che dagli anni Settanta indaga le potenzialità del mezzo fotografico, presenta il ciclo Tracce. Nel progetto vengono ritratti dei lacerti della superficie di un edificio dell’antico Arsenale di Venezia che, attraverso lo sguardo dell’autore, travalicano la loro fisicità per assumere una dimensione ‘altra’ che tende all’astrazione; le immagini in bianco e nero sembrano essere dominate dalla stessa purezza e assolutezza delle parole di Zanzotto nella sua raccolta a cui è dedicata la mostra.  Le fotografie di Paola De Pietri, tratte dalla serie Questa Pianura, sono scatti di grande formato che presentano alberi e case coloniche ormai disabitate e, spesso, in rovina. È la pianura del fiume Po, un paesaggio che ha vissuto grandi cambiamenti che si sono intrecciati, come conseguenza e come causa, al forte sviluppo economico del dopoguerra.

In mostra anche una serie di opere di autori di ricerca che stanno cercano di rinnovare la trattazione del tema paesistico attraverso una polifonia di approcci tra cui Lidia Bianchi, Silvia Bigi, Marina Caneve, Valentina D’Accardi, Silvia Mariotti, Allegra Martin, Alberto Sinigaglia e Jacopo Valentini; questi ultimi si stanno affermando come alcune delle più interessanti voci della nuova fotografia italiana ottenendo riconoscimenti nei festival italiani e stranieri.

Le opere della serie Luoghi Primi realizzate appositamente per la mostra da Allegra Martin creano un ideale dialogo con Andrea Zanzotto a cui l’artista è accomunata dagli stessi luoghi di origine e di formazione. La fotografa ha dichiarato la volontà di indagare i luoghi del territorio trevigiano “per rintracciare le immagini della memoria, quelle che hanno plasmato il mio io e che sono state trasformate a loro volta dal vissuto interiore”. Jacopo Valentini, ha invece raccontato il paesaggio di Treviso ritraendo un tratto del Canale dei Buranelli, non lontano dalla casa appartenuta a Giovanni Comisso. L’intenzione è quella di inserire due elementi paesaggistici, entrambi artificiali, il canale d’acqua e le facciate degli edifici che si sviluppano sopra di esso, unitamente ad un terzo contenuto, la vegetazione acquatica per definire un luogo come mimesi del reale, ma anche inteso come suggestione letteraria. Marina Caneve nel suo progetto Entre chien et loup ha invece riflettuto sui modi con cui si crea la memoria culturale di uno degli elementi stereotipati per eccellenza, la montagna. Partendo da molteplici elementi ritrovati negli archivi del Museo Nazionale della Montagna di Torino si è sono confrontata con la costruzione di un’immagine circolare, fatta di frammenti e visioni laterali piuttosto che frontali.

Le opere di Silvia Bigi della serie urtümliches Bild mostrano invece delle immagini ricreate attraverso un algoritmo che tenta di dare forma visiva alla materia dei sogni notturni, e finendo per “fallire” il suo compito, sembra far affiorare degli errori, elementi visivi dai tratti imperfetti, surreali e privi di regole figurative e prospettiche. Una figurazione alterata della realtà è presente anche nella serie Abissi di Valentina D’Accardi, dove l’autrice ha lavorato sugli spazi quotidiani che popolano la sua casa deformando in modo mistico, inquietante e inatteso una serie di elementi del domestico come piante e vasi.

Silvia Mariotti presenta in mostra il progetto Drowning light, una serie di fotografie ottenute attraverso l’osservazione del processo di formazione di alcune cianotipie, realizzate con oggetti ritrovati ed elementi naturali. I ‘giochi nell’acqua’ che sono presenti nelle opere sono le tracce di piccoli universi che a loro volta possano narrare storie o celare misteri. Gli oggetti che fluttuano all’interno delle immagini sono come suggerimenti, indizi o memorie, nascosti in ipotetici fondali di un lago, di un mare o chissà dove, che aprono a luoghi non perlustrati o rivendicano un passato segreto fino a sfiorare la sfera più introspettiva e imperscrutabile del nostro inconscio. Lidia Bianchi durante una residenza nel territorio marchigiano ha indagato una serie di elementi naturali capaci di sovvertire le idee alla base della rappresentazione del paesaggio perché non mostrano un orizzonte o una profondità prospettica; il risultato è una serie di immagini del progetto Sono tornate le lucciole, Paolo che riportano un territorio contraddittorio e dialettico, rivelatore di un altrove. Il titolo della serie ha un connotato personale legato all’infanzia, il richiamo al nome del padre dell’autrice, e uno al grande scrittore Pier Paolo Pasolini che nel secolo scorso denunciò le trasformazioni che stavano profondamente cambiando il nostro paese. Infine i lavori della serie Vanishing Sublime di Alberto Sinigaglia sono una riflessione su come i social media stiano profondamente cambiando la percezione del paesaggio. Un progetto che ha al centro il sublime tecnologico delle immagini virali che soverchiano il reale arrivando a trasformare un determinato territorio nel mero sfondo delle narrazioni egoiche dell’uomo a suon di post su Facebook e Instagram; nelle sculture l’artista agisce come un archeologo che attraverso dei carotaggi della materia configura dei “campioni” di realtà.

La seconda mostra del Festival è The image as process con la curatela di Carlo Sala e del collettivo The Cool Couple.Le opere in mostra vogliono porre una riflessione su come le immagini assumono i significati più diversi a seconda dei contesti – sui social network attraverso gli smartphone o nei mass media, nei libri o nei musei a seguito della loro istituzionalizzazione – e del target di pubblico da cui sono fruite; si innescano così dei processi di risignificazione che si sviluppano con lo scorrere del tempo rendendo i contenuti visivi una materia “liquida” in continua evoluzione formale e di senso.

Per questo gli autori sono stati invitati a presentare delle opere, scegliendo una delle dieci assi tematiche proposte, che i curatori della mostra hanno successivamente relazionato tra loro rimescolando i contenuti dei lavori, andando oltre la volontà originaria degli artisti espressa in fase di realizzazione. Il percorso vuole così innescare continui rimandi e riflessioni concependo l’immagine come un elemento complesso, sfaccettato, capace di incarnare e connettere a una pluralità di idee, tempi e culture. In mostra vi sono alcuni dei più interessanti autori della scena di ricerca: Francisco Alarcon, Claudio Beorchia, Filippo Berta, Francesca Catastini, Federico Clavarino, Gloria Dardari, Achille Filipponi, Alessandro Laita e Chiaralice Rizzi, Luca Marcelli, Filippo Minelli, Caterina Morigi, Novella Oliana, Nicolas Polli, Jessica Raimondi, Fabio Ranzolin, Giovanna Repetto, Michele Sibiloni, Rocco Venezia, Lorenzo Vitturi e Tilo&Toni.

L’esposizione è il frutto di un processo corale che ha visto la partecipazione, come segnalatori, di dieci artisti e dieci tra i più importanti curatori del panorama nazionale che hanno scelto gli autori in mostra.

I curatori sono: Lorenzo Balbi, Lucrezia Calabrò Visconti, Matteo Balduzzi, Daniele De Luigi, Vincenzo Estremo, Francesca Lazzarini, Luca Panaro, Giangavino Pazzola e Francesco Zanot.

Gli artisti segnalatori sono stati: Alessandro Calabrese, Paolo Ciregia, Discipula, Giorgio Di Noto, Irene Fenara, Christian Fogarolli, Federica Landi, Alessandro Sambini, Alberto Sinigaglia e Emilio Vavarella.

Le mostre saranno visitabili dal 4 giugno al 10 luglio 2022

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