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PIETRO in collaborazione con Galleria Studio G7 inaugurano il 4 aprile a Bologna la mostra ALEKSANDAR PETKOV Cùbito, con allestimento curato da Simone Gheduzzi, e curatela e testo critico di Chiara Vitofrancesco.

Aleksandar Petkov occupa la dimensione materica riflettendo e rompendo, in maniera non-scultorea, la tradizione figurale, attraverso l’uso di elementi le cui caratteristiche intrinseche recano restrizioni risultando difficilmente malleabili come: il cemento, la sabbia, l’argilla, la plastica fusa HDPE riciclata, lo stucco, l’albume d’uovo, il gesso, i pigmenti e le armature in filo di ferro, proponendo un immagine semplice, presente, primaria, anarchica e geologica che appare instabile annunciandosi nella sede di PIETRO attraverso un linguaggio a pavimento

L’artista ci presenta un modo di scolpire attraverso la processualità, organizzando in forme concettuali la rielaborazione di rievocazioni, appunti grafici, emotività psicologica e manuale. A tal proposito, la componente gestuale dell’artista è fusione tra opera e movimento dell’artista stesso in un processo di deformazione e trasformazione continuo. La composizione di tali oggetti è eseguita attraverso un processo temporale di assemblaggio sfruttando il potere adesivo del cemento partendo dal piano orizzontale, in un primo momento, per formare il primo lato e successivamente su quello verticale, collegando tramite un’armatura di filo di ferro le altre facce, permettendo loro di acquisire un peso, recuperando la gravità sul terreno attraverso forme ridotte che si erigono all’essenziale in veste di presenza pura.

Un linguaggio occupazionale dall’impatto non decorativo, ma volumetrico, di cui l’ingombro e  l’invasione dello spazio da parte di oggetti semplici sono scopo base delle sue strutture elementari che sfidano la gravità, mantenendo una verticalità precaria, che si priva di aspetti accessori e si figura come grado zero della scultura in stretta relazione con l’ambiente dialogando con l’architettura e provocando in chi fruisce una reazione di tipo percettivo che modifica la nostra attenzione in uno spazio chiuso.

Qui tali presenze accettano il fruitore solo nel dialogo fisico di corpo rispetto l’altro corpo, come affermazione di presenza fisica e visiva della scultura rispetto al contesto in uno stato partecipativo secondo un’esperienza materica ed emotiva in prima persona. L’ingombro delle sculture non accetta di essere manipolato a scopi decorativi, ma necessita che lo spettatore ci entri dentro, le percorra, confrontandosi con il volume in un rapporto diretto con il corpo dell’artista.

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