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La Galleria in Corte, nuovo spazio espositivo dedicato all’Arte Contemporanea, propone dal 14 aprile al 17 settembre 2022 la mostra Paolo Gioli. Gli anni di Venezia, curata da Nico Stringa, dedicata alle prime esperienze creative di uno tra gli artisti italiani più significativi e poliedrici, scomparso nel febbraio scorso.

L’esposizione nasce dalla volontà di amici e collezionisti, veneziani e no, di organizzare una antologia di opere pittoriche e grafiche del futuro film-maker e fotografo, mettendo a disposizione di tutti disegni e dipinti realizzati nel corso degli anni 60 in laguna, opere che ancora oggi, a più di mezzo secolo di distanza, non smettono di incantare e stupire.

La mostra ha la finalità di far conoscere meglio il periodo di formazione che coincide con la sua prima maturità; tale, infatti, si può ritenere l’arco di tempo 1960-1969, quando con lavoro incessante, Gioli confermava a sé stesso, tramite opere sempre più conseguenti, la centralità del movimento d’immagine, inteso non tanto come progresso finalizzato, ma piuttosto come strategia per stanare dall’oblio della consuetudine il potenziale originario dello sguardo. Gli shock a cui l’artista ci sottopone con la drammatica plasticità del Ciclo delle Creature e subito dopo con l’articolato percorso delle caleidoscopiche sezioni denominate anche Scomponibili, sono altrettanti dispositivi messi a punto da Gioli nella elaborazione della sua poetica fin dal periodo veneziano: l’immagine è in pericolo, gli artisti la salveranno con la pittura, con una fotografia ‘primordiale’, con il cinema sperimentale.

La mostra propone una scelta di disegni e dipinti di medio e grande formato realizzati a Venezia negli anni Sessanta e si conclude con un ultimo lavoro portato a termine a NewYork nel 1969, opera sintomatica di una svolta maturata a contatto con lo scenario americano che Gioli conosce direttamente durante il lungo soggiorno a Manhattan.

Dice Nico Stringa riguardo le opere esposte: «L’omogeneità di fondo del primo e dell’ultimo Gioli, la persistenza e la ricorrenza dei grandi temi che egli ha fatto propri, l’incrocio tra la tensione all’immagine consapevole e le grandi svolte degli anni ’60 costruite sulla banalizzazione dei mass-media e il bombardamento pubblicitario, lo portano ad abbandonare temporaneamente l’indagine sul torso e a sviluppare quel patrimonio di immaginazioni che possediamo e ricreiamo, consce e inconsce, sedimentate dentro di noi, che le arti visive e letteratura ci aiutano a decifrare, illuminando a “scatti” l’oscurità dell’origine, l’enigma dell’impronta visiva, il percorso non sempre consapevole verso l’autonomia della forma. Queste opere, già esaminate dalla critica più avveduta e sensibile, non sono le invenzioni originali di un esordiente, sono invece i documenti di una esperienza compiuta nel clima effervescente dei 60 in una Venezia città aperta alle più diverse esperienze che in Europa e negli USA erano in atto».

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