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Fino al 5 marzo le Collezioni Comunali d’Arte di Bologna a Palazzo D’Accursio, ospitano la mostra personale di Slaven Tolj: Craquelure. Pavo and me.
Una sintetica retrospettiva curata da Daniele Capra, costituita da una quindicina di opere oggettuali, documentative e dalla performance Bologna, February 2023, realizzataappositamente per il museo bolognesein occasione di ART CITY.
I lavori esposti spaziano dalla scultura alla fotografia in cui la storia dell’artista croato prende forma, in un racconto intimo condotto attraverso le vicende personali e storiche che hanno segnato la vita di Tolj: a partire dalla guerra nel cuore dell’Europa e la dissoluzione della Jugoslavia, che riporta immediatamente anche alla tragica attualità; la guerra fratricida dei Balcani, la morte senza senso di persone care. Come il fotografo Pavo Urban a cui è dedicata la mostra, ucciso da una granata nell’assedio di Dubrovnik il 6 dicembre 1991, del quale sono esposte due fotografie che documentano la performance Rosarium di Tolj.
E ancora, il profondo cambiamento politico e sociale che ne è seguito, la capillarità della penetrazione del consumismo, il mutamento antropologico che ne è conseguito, fino alla drastica trasformazione di Dubrovnik, per l’effetto del turismo di massa.

Ugualmente anche questioni più strettamente personali sono stati per l’artista una fondamentale lente di osservazione della realtà; il corpo segnato dall’ictus, gli esercizi di riabilitazione per riprendere l’uso del linguaggio, ma anche la difficoltà a esprimere compiutamente in forma verbale i propri pensieri, sono diventati l’humus che ha prodotto la nascita di nuove opere, intorno al tema dell’incomunicabilità.
Un racconto che prende forma attraverso la propria presenza, azioni minimali condotte con il proprio corpo, a spostamenti di piccoli oggetti: così Tolj mette in luce le fessure e le scorticature che la vita e la storia causano sul tessuto della nostra esistenza, come la craquelure che si produce sulla superficie dei dipinti a olio col passare degli anni.
Senza retorica, con un linguaggio scarno e necessario, l’artista interroga l’osservatore e lo investe di un’intensa carica emotiva, rivelando con i suoi lavori l’immane crudezza della realtà. 

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