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In occasione della cinquantesima edizione di Arte Fiera e di ART CITY Bologna 2024, Flavio Favelli insieme agli artisti Igor Grubić e Juan Pablo Macías apre al pubblico Jugopetrol, il suo spazio in viale Silvani, a pochi passi dal quartiere della Manifattura dell’Arti e dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, con la mostra Try again. Fail again. Fail better. Il progetto è costituito da tre blocchi di opere che i tre artisti considerano emblematiche nell’evoluzione del loro lavoro e significative per delineare alcuni dei loro specifici ambiti di ricerca.

Flavio Favelli presenta una serie di opere fra collage, assemblaggi, composizioni di vari documenti e prodotti autentici appartenenti ad un tempo recente, vissuto dall’artista, che indagano i segni e simboli tipici dell’identità italiana ma anche i suoi conflitti. Si tratta di adesivi pubblicitari, biglietti, copertine di libri, francobolli, banconote e ritagli di giornali che veicolano informazioni e immagini di grande seduzione. Questi oggetti possiedono immaginari capaci di creare mondi autonomi. Sono ormai immagini cristallizzate che si sono impossessate del vivere quotidiano delle persone. Queste opere parlerebbero con un linguaggio comprensibile a tutti, tipico della pop art, ma in realtà sono distanti dal gusto popolare del paese e, nonostante l’artista utilizzi immagini e segni spesso conosciuti, marcano un conflitto fra generi, identità, appartenenza e idee.

Juan Pablo Macías espone una serie di lavori incisi a puntasecca su lastre trovate e in procinto di essere smaltite. Le lastre sono state recuperate a Firenze, nell’atelier della Fondazione il Bisonte, dove si è realizzata l’opera. Nel cortile, invece, è conservata un’urna in pietra, con incisioni etrusche, contenente le ceneri della sua fondatrice, Maria Luigia Guaita. Da questo incontro nasce guaita_bisonte_proudhon_jousse: cinque incisioni con testi tradotti in alfabeto etrusco e stampati su carta giapponese di 20 gr. I testi sono ripresi da citazioni dell’economista, politico, filosofo e anarchico Pierre-Joseph Proudhon, altri sono termini in aramaico tratti dal libro “L’Antropologia del Gesto” di Marcel Jousse, antropologo gesuita che studia l’importanza del gesto e delle sue implicazioni nella creatività e nell’evoluzione umana.

La serie di collage di Igor Grubić nasce dall’interesse che l’artista ha sviluppato negli anni Novanta per l’ideologia del Costruttivismo Russo, che credeva onestamente che l’arte potesse coltivare e nutrire lo spirito delle persone. Essi sono un lavoro seminale della sua pratica, come disegni o schizzi, e rappresentano il suo primo pensiero critico attraverso l’arte, su cui poi si fonderà la sua poetica futura. L’artista ha utilizzato i due colori base rosso e nero e ha giocato con le forme per creare messaggi che diventano come una campagna minimalista agitprop. Semplici e chiari ideogrammi accompagnati da scritte, immagini iconiche o personaggi, da Vladimir Majakovskij a Sergei Eisenstein, queste prime opere riflettono l’idea che l’arte trova la sua strada attraverso la pubblicità, mentre la politica usa l’arte per trasmettere pensieri rivoluzionari. Con questi collage Grubić ha voluto suggerire, sognare e creare un orizzonte utopico dopo aver vissuto il trauma della guerra in Croazia nel 1991-1995.

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