Giancarlo Cerri, artista milanese classe 1934, in occasione del suo 90esimo compleanno torna ad esporre dal 28 maggio al 21 giugno 2021 al Centro Culturale di Milano in Largo Corsia dei Servi 4 con l’antologica dal titolo “Formato medio”.

Curata da Luigi Codemo, direttore della raccolta museale GASC-Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei di Milano, la mostra presenta 26 opere realizzate dal 1954 al 2005, anno in cui Cerri smetterà di dipingere per una grave forma di maculopatia, e vuole essere un omaggio al “formato medio”, ovvero a quelle opere le cui misure oscillano fra 40×50 e 80×100.

Ma perché proporre una mostra antologica che tenga conto del formato delle tele?

La risposta sta nella formazione stessa di Giancarlo Cerri, artista e grafico pubblicitario sin dagli anni Cinquanta, che ha attraversato appieno gli anni 60/70 dell’arte milanese conoscendo e confrontandosi con alcuni dei principali protagonisti.

Convinto da sempre che la pittura e la personalità di un pittore si esprimano “in parete”, Cerri ritiene che “i formati delle tele non rimangono neutri rispetto al soggetto, ma sono scelti con coscienza per influenzare il modo in cui l’osservatore percepisce ciò che viene rappresentato”.

Proprio la consapevolezza che la dimensione media della tela incida in maniera profonda sulla espressività del soggetto e si offra a una visione più diretta, l’artista ha pensato a un excursus delle opere che meglio delineino il proprio percorso pittorico. 

L’esposizione sottolinea come, sin dagli esordi, la ricerca artistica di Giancarlo Cerri si sia contraddistinta per rigore, essenzialità e lucidità espressiva.

Inizialmente influenzato dai grandi maestri come Carrà e Morandi, ma anche dagli espressionisti tedeschi, Cerri sviluppa un suo segno pittorico, con il colore come elemento dominante.

Negli anni Settanta la figurazione si evolve, il colore diventa il protagonista e l’autonomia dell’opera si afferma. Ne sono esempi dipinti come “Antico Po” e “La mareggiata”, dove Cerri valorizza il potere espressivo del colore.

Negli anni ’80, la pittura di Cerri si libera dalla fedeltà al soggetto per concentrarsi sulla concretezza della materia pittorica. Le sue opere, come la serie delle “Colline” e delle “Cave”, rappresentano il paesaggio lombardo in una forma organica e immersiva, dove il colore e la materia si fondono.

Il passaggio all’astrazione è evidente nelle “Grandi Foreste”, dove Cerri esplora la potenza del colore e della forma.

Scrive Luigi Codemo nel suo testo in catalogo: “Il quadro diventa sempre più un campo di forze. Cerri si allontana dalla vista degli oggetti, dalle rocce, dai pendi, e dagli alberi stessi. Perché è nella distanza che appare la foresta, è nell’altezza che l’artista avverte come sismografo la potenza tellurica del colore. La visione dall’alto coincide con la visione dall’interno.”

L’astrazione non è semplice rimozione, ma una ricerca dell’essenziale, come dimostrato negli “Omaggi al paesaggio” e nelle “Sequenze” degli anni Novanta, dove il colore, la luce e la linea diventano centrali, e dove il nero onnipresente e onnipotente, sempre elaborato e mai uguale a se stesso, diventa elemento-simbolo di mistero e rigore, incarnando le leggi del quadro stesso.

La mostra si conclude con una riflessione in quattro tempi sulla Croce, dove Cerri ne esplora la simbologia in un contesto di meditazione laica, filosofica e spirituale attraverso tre opere.

Le prime tre opere, dal medesimo titolo “Nel segno della croce” e tutte del 2004, raccontano di una meditazione antropologica e non teologica sulla sofferenza umana attraverso due gesti, uno orizzontale e l’altro verticale, che rendono visibile e tangibile il calvario della croce.

La quarta e ultima tela, “Aldilà” del 2005 e fino ad oggi mai esposta, presenta invece una visione frammentata e ravvicinata della croce, non più direttamente riconoscibile, e la sofferenza diventa emotiva e fisica attraverso la stessa pittura, ma non senza un senso di pace nella tragedia.

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