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Dal 24 settembre al 29 ottobre, in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, apre al pubblico Quadri come luoghi, a cura di Davide Ferri, in collaborazione con Barbara Meneghel e con il coordinamento di Miral Rivalta.

La mostra include il lavoro di 23 artisti ed è strutturata in cinque spazi, diversi per storia e caratteristiche e non usualmente destinati alle mostre d’arte, configurando un itinerario in alcune esperienze della pittura italiana.

Il progetto si sviluppa attorno al dialogo tra le opere e la specificità degli spazi nei quali sono esposte e a una serie di suggestioni sottese all’idea di “quadro come luogo” oppure di “quadro in quanto luogo”, a cominciare dalla sua aderenza al paesaggio e dal dipinto come racconto di un luogo.

In mostra sono presenti dunque molti dipinti identificabili come paesaggi, ma anche luoghi astratti, senza referenti al di fuori del dipinto. Affiora, ad esempio, il modo in cui diversi pittori realizzano le loro immagini senza un progetto definito, ma a partire dalla costruzione di un luogo interno al dipinto da cui, prima o poi, finiscono per germinare le figure.

L’idea di “quadro come luogo”, inoltre, rinvia alla capacità del dipinto di espandere il suo spazio energetico per riconfigurare lo spazio nel quale è collocato – così ci saranno in mostra anche alcuni lavori installativi, dove i dipinti si discostano dal muro per stabilire una diversa relazione con l’ambiente; o ancora, l’idea di quadro come luogo rimanda all’attitudine del dipinto di porsi come dimensione a se stante, spazio di rappresentazione organicamente autonomo e determinato, in quanto entità separata, a resistere alle sollecitazioni del contesto nel quale è collocato.  

La dimensione del luogo, infine, rinvia anche alla capacità del quadro di disegnare attorno a sé uno spazio di pertinenza che rievoca e rilancia perpetuamente la gamma di gesti e azioni (sul dipinto e attorno al dipinto) che l’autore ha compiuto per realizzarlo; uno spazio che viene consegnato allo spettatore come territorio di movimenti e traiettorie dello sguardo sull’opera e attorno all’opera.

La mostra si svolge in cinque sedi, principalmente dimore e palazzi storici pubblici e privati e chiese di altrettanti paesi delle province di Brescia e Bergamo, congiunte capitali italiane della cultura per l’anno in corso. A Torre Pallavicina (BG) la sede espositiva è Palazzo Oldofredi Tadini Botti, dimora estiva degli Sforza realizzata nel 500, con pareti affrescate e soffitti a cassettoni lignei e a carena; a Mornico al Serio (BG) la sede ospitante è una cascina del 300, luogo utilizzato anche da Ermanno Olmi per le riprese del film L’albero degli zoccoli; nel comune di Calcio (BG), la mostra si sviluppa all’interno della Chiesa di San Fermo, proprietà del comune e annessa ad un cimitero, utilizzata per la prima volta come spazio espositivo; a Capriolo (BS), la mostra trova spazio a Palazzo Adorni, un edificio privato quattrocentesco, recentemente restaurato; infine, a Ospitaletto (BS), il progetto espositivo occupa alcuni spazi di Villa Presti, immobile storico risalente agli anni Venti del Novecento.

Nella Chiesa di San Fermo a Calcio, adiacente il cimitero, a guidare le scelte curatoriali è stata l’atmosfera di silenziosa sacralità del luogo. Due sono gli interventi collocati all’interno dell’edificio: quello tridimensionale di Gregorio Botta, di cui sono esposti tre lavori della serie L’angelo dell’attesa, sculture in cera che l’artista ha definito “tabernacoli laici”, e due dipinti di Alessandro Fogo. Pervasi da un senso di attesa, i suoi lavori descrivono luoghi angusti, spazi stretti all’interno dell’immagine abitati da figure misteriose e vagamente mitologiche.

A Palazzo Oldofredi Tadini Botti a Torre Pallavicina emerge in maniera molto chiara quanto le specificità di ogni spazio siano state determinanti per creare delle partiture diverse per ciascun luogo. In questo caso, l’idea del muro è stata ineludibile: siamo in presenza di stanze con affreschi rinascimentali stratificati, ricoperti e rimaneggiati a più riprese, che creano una partitura intermittente di immagini che da sotto affiorano in superficie. Si è scelto quindi di collocare in queste stanze dipinti che rinviano all’immagine del muro, o lavori con superfici stratificate come le pareti del palazzo. Le opere di Franco Guerzoni, ad esempio, mostrano scampoli e brandelli di pittura che emergono da una profondità, da un dentro del dipinto. Allo stesso modo, le Sedimentazioni di Maria Morganti sono strati su strati di pittura che traducono in immagine un segmento di vita e di tempo dell’artista. I lavori di Michele Tocca, invece sono ancora immagini di muri che interagiscono con le pareti dello spazio espositivo.

Nella selezione di lavori inclusi a Villa Presti a Ospitaletto, risulta molto evidente la dimensione del quadro come luogo che travalica i propri confini per disegnare attorno a sé un campo energetico che rievoca e rilancia perpetuamente la gamma di gesti e azioni che l’autore ha compiuto per realizzarlo. I dipinti di Nazzarena Poli Maramotti, che sembrano percorsi da movimenti larghi, ariosi, e da una specie di vento che muove le forme; i lavori di Nicola Samorì, nei quali le figure sembrano nascere da un interno del dipinto, da un dentro o da un fondo magmatico e liquido ed emergere per via di veloci e agili tocchi luminosi; il paesaggio urbano di Marco Neri dei lavori dal titolo Scorrere, come visto da un’auto in corsa, fatto di linee e pennellate che compongono una partitura astratta; il dipinto di Davide Rivalta che raffigura un’aquila, uno dei soggetti prediletti dell’artista anche nella sua produzione scultorea, sul cui corpo, di una superficie molto materica, si ritrovano i gesti che l’hanno modellata.

A Palazzo Adorni, a Capriolo, si mescolano più traiettorie: ritroviamo ad esempio la dimensione del corpo in relazione con il luogo nei lavori di Beatrice Meoni: un corpo che, da qualche anno a questa parte nel suo lavoro, continua a smembrarsi e a scomporsi. Uno dei suoi lavori in mostra, Quanti passi, dissemina i passi sulla superficie e determina la dimensione di un luogo che è territorio di potenzialità, multidirezionale e instabile. Oppure nei lavori di Gabriele Picco, che sembra interpretare ironicamente il topos romantico della figura di schiena di fronte o immersa nel paesaggio, ma facendola incontrare con l’immagine di un pittore alle prese con un grande dipinto monocromo. Anche l’opera di Corinna Gosmaro disegna attorno a sé la dimensione di un luogo abitato dal corpo dello spettatore: anche nel suo caso il corpo è chiamato ad avvicinarsi e ad attraversare l’opera, attratto dalla superficie morbida di poliestere, a entrare letteralmente nel paesaggio che l’opera configura.

Infine a Mornico, nella cascina dove Ermanno Olmi ha girato L’albero degli zoccoli, prosegue il filo di un racconto che ha il suo fulcro nell’idea luogo che coincide con lo spazio energetico che rilancia la gestualità che ha creato il dipinto. Questo è evidente nei lavori di Alessandro Sarra, dipinti astratti in cui una serie di pennellate e segni liberi e volatili sembrano nascere dentro una superficie scandita da ampie campiture monocromatiche; e i paesaggi di Mirko Baricchi, terrosi e vibratili, di pennellate pulviscolari e volatili. Anche il lavoro di Antonio Marchetti Lamera approfondisce alcune suggestioni della mostra che hanno a che fare con la dimensione del paesaggio come luogo che il dipinto è in grado di reinventare: le sue opere muovono dalla fotografia, da scatti di ombre di architetture che poi la pittura trasfigura in un luogo pittorico potenzialmente indefinito.

Si ringrazia per il supporto FARCODERMA S.p.A, B&B SRL, ITALTRANS SPA, Mario “Ragno” Assicurazioni S.r.l., CAVA DI BARCO di Appiani Danilo & C.S.n.c., CONSORZIO COOPERATIVO PRODUTTORI LATTE Società Cooperativa Agricola e Confartigianato Brescia, Oricom, BCC Orio al Serio.

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